URGUGLIùS DE VESS MILANèS, il Milanese è una lingua, l'italiano un dialetto

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MoRnaZ
icon3  view post Posted on 12/1/2008, 01:51




Milano Segreta

Proverbi e modi di dire validi per tutte le occasioni: da «pirla» a mangiare «a ufo». Termini ormai conosciuti e usati in tutta Italia



Meneghino, un dialetto «da esportazione»


«Aliviva!» gridano i bambini e subito corrono a nascondersi. Tocca a un ragazzino cercare i suoi compagni di gioco e tentare di scovarli secondo le regole del nascondino. Che vinca lui o il bambino più bravo a nascondersi, a gioco finito qualcuno esclamerà «Alimorti!», secondo una tradizione che dagli antichi romani è arrivata fino a Milano. Nella Caput mundi infatti era molto diffuso il gioco dei dadi (in latino alea), e prima di tirarli si usava dire alea viva, per poi concludere con un alea mortua una volta che i dadi erano fermi a terra, da cui le due espressioni meneghine, in uso fino a qualche tempo fa, che indicano l’inizio e la fine di un gioco. Proprio dal latino deriva la maggior parte dei vocaboli milanesi, basti pensare a «ciappà», prendere, da capere; a «assee», abbastanza, da ad satis; a «giamò», di già, da iam modo, a «incoeu», oggi, da in hoc die.



BALLA NUDO - I cugini francesi hanno invece lasciato traccia in cucina con parole come «articiòcch», carciofo, da artichaut, e «triffola», tartufo, da truffeline, mentre il termine «busecca» lo si deve agli austriaci che chiamavano le viscere butze, da cui il nome della zuppa di trippa di vitello. Può ritenersi offeso chi si sente dare del «boricch», ovvero dell’asino, dallo spagnolo borrico, e non è un complimento nemmeno «ciocch», che significa ubriaco, ma deriva da choco, un appellativo riservato agli spagnoli che certo non spiccavano per intelligenza. In quanto a termini poco lusinghieri nel dialetto milanese c’è solo l’imbarazzo della scelta: dal classico «pirla» a «bigol», che rimandano al membro machile e significano entrambi stupido; dai più innocui «crapa pelada» (testa pelata), «lendenon» (capellone) e «pastrugnon» (pasticcione), a «menatoron», detto di persona noiosa e ripetitiva, in riferimento alla preparazione del torrone, che richiedeva di impastare gli ingredienti per ore, compito ingrato e monotono che spettava proprio al menatorrone. E ancora: «balabiott», ovvero sciocco, letteralmente significa «balla nudo», azione decisamente priva di buon senso.



FAGIOLI SCOPPIATI - C’è poi il «beccamort» (becchino), a cui sarà senz’altro capitato di esclamare «Alegher, l’è el dì di mort» (Allegri, è il giorno dei morti), perché un tempo i funerali erano seguiti da un rinfresco organizzato per cercare di alleviare il dolore per la scomparsa di una persona cara. Se invece incontrate un uomo dalla folta barba e con i capelli lunghi, non ci sono dubbi: si tratta d’«el Signor de Poasch» (il Signore di Poasco), proprio come il Gesù che si trovava nella chiesetta di Poasco, nel Milanese. La frase «Ghe s’cioppa i fasoeu?» (Le scoppiano i fagioli?), ben si adatta alla frenesia della vita metropolitana, indicando per l’appunto una persona che ha molta fretta, mentre sbottare «Va a cà e petenett!» (Va a casa e pettinati!), rivela altrettanta impazienza, ma per allontare una presenza poco gradita. Un consiglio: diffidate di chi si ripromette di fare qualcosa nella «settimana d’i tri giovedì» (settimana dei tre giovedì), perché altri non è che un modo per rimandare una questione o per non affrontarla del tutto; e di chi «mangia pan a tradiment» (mangia pane a tradimento), perché significa che ama mangiare e bere senza mettere mano al portafoglio, ovvero «a ufo». Quest’ultimo è un singolare modo di dire che risale ai tempi della costruzione del Duomo, quando il marmo che dalla cava di Condoglia, nei pressi di Verbania, viaggiava attraverso le acque del lago Maggiore, del Ticino e del Naviglio Grande per poi giungere nella cosiddetta fossa interna, un piccolo lago artificiale che si trovava nell’attuale via Laghetto.



ALL'ESTERO - E su ogni blocco di marmo si poteva leggere la sigla Auf, Ad usum fabricae, che rendeva il passaggio delle merci esente da dazi. Da qui l’espressione «a uf», in seguito «a ufo», cioè gratuito. Il dialetto meneghino non si fa certo mancare proverbi coloriti: «Ofelè, fa el tò mestè!» (Pasticcere, fai il tuo mestiere!), da rammentare a chi pretende di occuparsi di cose di cui non è competente, mentre a chi è in vena di consigli scontati la saggezza popolare riserva un «Quand pioeuvv, gotta i tecc» (Quando piove, gocciolano i tetti), a ricordare che è inutile sottolineare ciò che è ovvio. E se «Febbrar l’è curt ma l’è pesg d’on turch» (Febbraio è corto ma è peggio di un turco), per dire che è il mese più breve ma anche il più ostile; «April ogni gotta on baril» (Aprile ogni goccia è un barile) considerati i tanti giorni di pioggia; a «Luj la terra la buj» (Luglio la terra ribolle), ma «Dopo el quindes de agost lasset minga ciappà in del bosch» (Dopo ferragosto non lasciarti sorprendere nel bosco perché la temperatura può scendere bruscamente). Tracce di milanese si ritrovano anche all’estero: in tedesco infatti Lombard significa prestito e il caso vuole che a Londra esista una Lombard Street dove risiedevano i banchieri milanesi.

 
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